Città di Castello
Villoresi fu, tutto sommato, anche se gli vennero, quasi a suo dispetto, notorietà e riconoscimenti, un solitario. Abbandonò la giurisprudenza per la pittura. Nel ’45, dopo il turbine della guerra, sentì il fascino del tonalismo neoimpressionistico di Mafai, nel cui studio fu ospitato per un po’ di tempo. Prima personale di rilievo da Chiurazzi, in via del Babuino. Ma aveva anche conosciuto l’umido grigiore di un sottoscala in via del Governo Vecchio, dove aveva buttato alle ortiche l’agiatezza della casa paterna. Si trasferì poi in una soffitta del quartiere Prati, trovando infine a Rigutino, vicino ad Arezzo, la patria del suo spirito. I ritratti (quello di Sandro Penna o di Corrado Alvaro), le maschere, gli omoni del suburbio nebbioso, i “sassi” sono cose assolutamente villoresiane, per le quali è del tutto acritico parlare di atteggiamento crepuscolare o di neotradizionismo toscano. Interessante il Diario di un pittore pubblicato da carte Segrete.