Un’Arte del Dialogo
di Massimiliano Sardina
Scorrendo la biografia di Massimo Baistrocchi non possiamo sottrarci dal provare, in primo luogo, un genuino stupore per la vastità dei suoi interessi e delle sue esperienze, tanto nell’ambito della brillante carriera politica d’impronta internazionale che in quello concernente l’ampio ventaglio delle attività creative. Se è vero, come sosteneva Oscar Wilde, che non può sussistere una separazione netta tra vita e arte, ciò è ancora più vero nel caso di Massimo Baistrocchi; le sue opere, infatti, testimoniano di un’assoluta interdipendenza tra aspetti e dimensioni che solo in apparenza possono risultare inconciliabili o divergenti. Vien da pensare, volendo segnalare un termine di paragone, a una figura poliedrica come quella di Jean Cocteau, che seppe riunire in un’unica eclettica ricerca, assolutamente libera e svincolata da ogni specificità disciplinare, la letteratura, l’arte, la poesia, il cinema.., riducendo la tecnica di volta in volta prescelta (un romanzo, un quadro, una poesia..) a mezzo o strumento subordinato alle urgenze della creazione artistica. L’impiego del collage come tecnica creativa, ad esempio, è già di per sé un espediente che rivendica la necessità di un trait d’union, di un dialogo tra nature differenti funzionale alla resa di un corpus unico: così, nell’ordito dell’opera, la pratica dell’assemblaggio rende possibile quest’interazione tra materiali eterogenei, suggerendo nuove configurazioni espressive. In auge nelle Avanguardie del primo Novecento (pensiamo a certe elaborazioni cubiste e dada, provocatorie e non) l’impiego del collage introdusse il concetto di non-specificità della tecnica creativa, indicando nuovi orizzonti espressivi proprio nell’ottica della contaminazione tra le arti (oggi diremmo della multimedialità); nell’innesto tra le tecniche, ora stridente e ora armonico, ora dichiarato e ora dissimulato, venne individuato un nuovo territorio d’indagine emozionale. Nel collage è implicito il rimando alla “stratificazione”, da intendersi nelle sue accezioni più complesse. Osserviamo opere come Evolution, Mae Lin story, De Vries’ hommage, The great dream e Seven of Diamonds: in esse l’artista dispiega un uso sistematico del collage che potremmo definire “narrativo-simbolico”; le immagini in bianco e nero – che di primo acchito ci rimandano alle incisioni dell’Encyclopédie de Diderot et D’Alambert – si imprimono (mediante semplice incollaggio) sulla superficie dell’opera stabilendo un equilibrio compositivo dal sapore magico e misterioso. La bidimensionalità è scongiurata dall’individuazione di un piano prospettico dilatato e atmosferico: la superficie pittorica, infatti, segnata da porzioni geometriche ben definite e da altre più soffuse e rarefatte, si stempera in una “patina di vissuto” che a tratti può ricordare le vecchie valigie di cartone pressato del primo Novecento. Quest’ultimo riferimento trova conforto in altre considerazioni inerenti all’opera di Baistrocchi, prima fra tutte: il viaggio. Viaggio come “transito”, “passaggio”, “spostamento” ma soprattutto viaggio come “evoluzione”: ce lo testimoniano gli innesti nei collage che illustrano il cammino evolutivo dell’uomo (vedi la già citata Evolution che riproduce la scala darwiniana) o mezzi di trasporto (il vecchio veicolo in The great dream) o insetti in volo..; il viaggio inteso anche come dialogo fra culture e linguaggi: nel gruppo di collage Abstracta si alternano scrittura giapponese e scrittura occidentale, diluite tra lacerti di giornali, codici a barre (una citazione di gusto pop), carte da gioco, stesure pittoriche e ideogrammi (questi ultimi, autografando le opere alla stregua di ex-libris, a volte ricordano il segno delle timbrature postali). Come per l’appunto una valigia, l’opera si fa bagaglio di un vissuto intenso e globalizzante, carico di testimonianze nostalgiche, di citazioni, di riferimenti. Gli elementi, carpiti singolarmente, tessono una coesione funzionale all’equilibrio narrativo dell’opera: l’astrattismo, attraverso la presenza di questi dettagli di figurazione, cede il passo all’allusione narrativa (al rebus) che l’osservatore è chiamato a decodificare. Le inserzioni figurative sembrano accarezzare, in taluni casi, argomentazioni di carattere esoterico, come in De Vries’ hommage: qui la successione di quadrature culmina nella prospettiva centrale di un interno architettonico nel quale giace, steso su un tavolo operatorio, un corpo esanime in attesa di esame autoptico; in alto a sinistra compare un simbolo ciclico e, più in basso due coleotteri (simbolo di trasformazione e cambiamento) e uno scarabeo (caro agli antichi Egizi, vola solo in fase riproduttiva). Ma al di là di significati specifici, quel che ci è dato di cogliere nell’opera di Baistrocchi è un insieme di dati emozionali che si riallaccia ora alla contemporaneità ora alla memoria, transitando come in un percorso diagonale tra lingue, culture e tradizioni; l’opera si apre a contenere la realtà, assimilandone le trame, le cromie, i dettagli: la combinazione creativa di aspetti così diversi persegue sempre una finalità armonica, che possiamo ravvisare nell’equilibrio compositivo di ogni elaborato. Le attività collaterali all’arte, in particolare quelle di ambasciatore e di studioso d’archeologia, ci confermano quanto abbiamo rilevato poc’anzi circa l’importanza del dialogo multiculturale e l’imprescindibilità di una coscienza storico-memoriale. L’arte, in questo caso, interviene come legante, come mastice tra dimensioni della realtà apparentemente inconciliabili: il Passato e il Presente, l’Oriente e l’Occidente, ma anche l’Arte e la Politica..nella cui interazione, seppur utopisticamente, oggi più che mai dovremmo confidare per una rinascita concreta dell’una e dell’altra. Nella serie di gouache su carta Square, alla narratività più dichiarata delle opere che abbiamo già citato, si sovrappone una texture più visibilmente pittorica, condotta con le metodiche gestuali del dripping, per lo più con dominante cromatica rosso-carminea. Lo sgocciolamento del colore avviene su un piano separato rispetto al fondo retrostante, contrassegnato ora da collage (fumetti, articoli di giornale) ora da altre preventive stesure pittoriche. Le striature di rosso, schizzate o lavorate con la punta del pennello, segnano toni di palese drammaticità, sempre contenuti però nell’equilibrio estetico d’insieme. Tutte le componenti contenutistiche enumerate finora sottendono a quella che potremmo definire un’impalcatura dell’equilibrio, requisito estetico a cui nessun’opera di Baistrocchi si sottrae. Si guardino le serie Five variations on the lizard theme, Three variations on the iguana theme, Medium collages, Zen inspiration, Lost playing-cards, Six collages, No frills, Rouge & Noir: the twelve seals of pak Lok Kee.., su un territorio comune, che è il supporto dell’opera, come in un crocevia assistiamo all’incontro-innesto di forme, elementi e colori; verticali, orizzontali e diagonali concertano in un disegno comune senza mai abbandonare quella ponderatio che funge da scheletro ordinatore. Un’aderenza d’intenti a correnti artistiche del passato, al di là dei riferimenti di cui si è detto al cubismo e al dadaismo, non è dichiarata (per lo meno dal punto di vista formale); sebbene a tutte le opere si accompagni una costante di “riconoscibilità”, che le congloba nelle maglie di uno stile, permane in esse un’estrema libertà d’approccio creativo; alla luce di questo, per certi versi possiamo considerarle come degli appunti di viaggio (nel senso più ampio del termine), icone nelle quali l’artista assomma, sintetizzandole graficamente, una serie complessa di sensazioni e riflessioni ora tradotte in fasce cromatiche ora in immagini più pertinenti alla realtà. La discordia concors dei neoplatonici, quell’ideale armonico che sottende a tanta arte del XV e XVI secolo, rivive in quelli che l’artista stesso, in un suo scritto del 2002, definisce “affascinanti alfabeti”. Tutto quel che nel mondo sensibile è caos e dissonanza, nello spazio privilegiato e circoscritto dell’opera d’arte diviene accordo, ovvero armonia tra opposti. L’arte, infondo, in tutto lo spettro delle sue manifestazioni, si è sempre fatta mediatrice tra estremi: l’armonia risiede nel risultato della mediazione stessa. Così, e valga questo come assunto chiarificatore, tra il bianco e il nero l’arte ha stabilito un’armonia (o ha cercato di stabilirla) negli infiniti passaggi di grigio che intercorrono tra essi; l’arte, in altre parole, viene a colmare quella distanza tra estremi, non ostruendo col suo ingombro ma creando un canale di comunicazione, un dialogo, per l’appunto un’armonia. Gli “affascinanti alfabeti”, estrapolati ciascuno dal suo contesto specifico, convergono in una dimensione comune, si rapportano (sovrapponendosi o fondendosi), come tessere di un mosaico; nell’economia dell’opera nessun elemento prevarica sull’altro, ma tutti si fanno compartecipi di un insieme significativo. Half and Half (ossia Mezzo e Mezzo), come recita il titolo di una recente personale dell’artista presso il Palazzo dei Diamanti di Ferrara, rimarca questa “prassi della commistione” che in ogni opera si rinnova di continuo. La fusione tra Oriente e Occidente, che in molti aspetti della realtà contemporanea (artistica e non) spesso degenera nelle licenze del kitsch, nell’opera di Baistrocchi assume tonalità morbide, mai stridenti o d’impatto aggressivo: tutto, lo ricordiamo, si stempera nelle modalità del dialogo dove un linguaggio si accosta ad un altro generandone un terzo e così via. Le opere possono leggersi altresì come variazioni su un tema unico, sebbene i singoli elementi rappresentati e le titolazioni rimandino espressamente a riferimenti specifici. Della Cina e del Giappone l’artista recupera anche la millenaria tradizione astrologica legata agli oroscopi ( vedi la serie Cinese Horoscopes and Zodiacs): la simbologia cosmologica del mondo animale (la fauna primigenia) e il destino karmico dell’uomo; quest’ultimo, governato dall’inappellabile influsso delle costellazioni attraverso fili invisibili, compare in questa serie come “soggetto assente”: la presenza dell’uomo (anche nel senso più propriamente “figurativo”) è palesata dalla presenza del linguaggio (della scrittura, del segno). Baistrocchi, inoltre, realizza anche su commissione delle opere-oroscopo personalizzate: al linguaggio dell’arte viene qui a sommarsi quello imperscrutabile (oracolare, per certi versi criptico) degli astri; le distanze – geografiche, culturali, iconografiche – si allargano e insieme si accorciano: nell’arte non solo Oriente e Occidente possono conciliarsi, ma anche Cielo e Terra (l’ancestrale e il contingente). Linguaggi, tradizioni, religioni, iconografie: nella Babele della comunicazione globale tutto si traduce e si riduce in immagine, tanto che questa ha quasi in parte esaurito il suo potere narrativo e seduttivo (quanta arte contemporanea, specie figurativa, ne fa le spese!); messa a nudo dalla decontestualizzazione operata dall’artista, essa finisce per rivelare immancabilmente la sua funzionalità e referenzialità alla cultura che nello specifico di volta in volta la produce e la promuove: i marchi registrati, i loghi, il packaging e i codici a barre dei prodotti di consumo, la stampa (testate di quotidiani, vignette, colonne di testo..), i simboli (quindi le immagini) del potere politico, religioso, economico ecc., e di decenni ne son passati da quando la pop art mostrò alla società l’impietoso irriverente specchio del benessere del secondo Novecento. Nel prelievo che Baistrocchi compie dalla realtà (nella realtà) non ci è dato però di cogliere un carattere di esplicita denuncia, egli tenta anzi di ordire una rete di relazioni tra un prelievo e l’altro, come a voler rappacificare ciò che di per sé è antitetico; siamo lontani dalle giustapposizioni surreali di un Lautreamont, che faceva incontrare su un tavolo operatorio un ombrello con una macchina per cucire, anche se tuttavia certe soluzioni adottate da Baistrocchi lascerebbero pensare a una componente di nonsense. Il pregio calligrafico di uno stile colto e raffinato non cede mai il segno all’ironia o alla provocazione: le opere di Baistrocchi dispiegano pagine sempre personali e ispirate, dove immagine e parola si detronizzano vicendevolmente narrando frammenti di misteri (si veda la serie dei Love Messages). Ogni elemento che è chiamato a comporre l’opera si interpone a guisa di una traccia, un frammento testimoniale (parziale o completo) che funge da richiamo, da eco nostalgica. Questa componente di “nostalgia”, di cui già abbiamo accennato, rinsalda l’imprescindibilità da un Passato, e graficamente si presenta sottoforma di “patina”, come se la superficie dell’opera esibisse l’affascinante usura di un invecchiamento, una stratificazione (allo stesso modo, di un antico manoscritto lodiamo la suggestiva “pagina ingiallita” che ne accresce il valore); dunque, l’arte come linguaggio contemporaneo e l’arte come ritrovamento archeologico (e, a ben guardare, certe opere di Baistrocchi sembrano come “disseppellite”, e ancora impolverate dal soffio del Tempo). A questa componente, che potremmo definire “fossile”, concorre anche la parte più squisitamente pittorica dell’opera di Baistrocchi: la sua pittura, infatti, non si stende per campiture piatte e monocrome ma si apre a continue variazioni tonali, tendendo più alla smaterializzazione e alla rarefazione cromatica; il bianco e il nero, che sono i colori della scrittura, non sono mai assenti, e a relazionarli interviene spesso una dominante di rosso (la connotazione purpurea del sangue, ma anche la gamma calda dell’ispirazione e dell’urgenza creativa). Affondano, emblematicamente, nel Passato anche le incursioni di Baistrocchi nell’immaginario dureriano (si guardino le rielaborazioni del Rhinocerus nella serie d’incisioni calcografiche del 1993 De Animalibus); delle immagini arcaiche, in particolare quelle del mondo animale, l’artista sottolinea il valore semantico, primitivo e sacrale. Le opere di Baistrocchi – così le ha definite Elisabetta Savoldi – sono “scatole cinesi”, una definizione quanto mai appropriata, cui non si sottrae anche il concetto di opera come “trappola” (l’opera nell’opera): l’osservatore viene a trovarsi di fronte a una mappa e per elaborare un percorso di lettura deve necessariamente compiere un’indagine individuale, ossia cogliere le relazioni tra gli elementi riconoscibili; l’opera, in altre parole, vuole essere scrutata, studiata, vuole comunicare un segreto, un significato, non si contenta d’intrattenere con il solo pregio estetico. Questo procedimento di decodificazione è simile a quello che si innesca davanti a una poesia (o a un componimento ermetico, o a quelli che l’artista stesso definisce “Misteriosi Messaggi”), e non a caso certe opere di Baistrocchi (specie i Love Messages) sono ascrivibili più alla “poesia visiva” che alla “pittura” più comunemente intesa. La poesia, inoltre, è onnipresente come segno grafico (nell’ideogramma orientale e nel codice occidentale) ed informa di sé la gran parte degli elaborati: così in tutte le Variations on the Chinese Horoscopes. La pratica artistica porta qui alle sue estreme conseguenze la sua capacità, proverbiale, di fagocitare linguaggi, di rielaborarli e di sottoporli ai più inattesi innesti: nello slancio, nella ricerca di un linguaggio universale che possa conglobarli tutti, uno per uno e senza esclusioni, e che sappia parlare quello slang contemporaneo multimediale che oggi rappresenta per l’arte l’unica via percorribile. Oggi, proprio riallacciandosi alla parola – interagendo con essa negli ingranaggi di un’operazione colta (nell’accezione anche più pedantemente nozionistica) – l’immagine può tornare a riappropriarsi di quell’energia simbolica che l’aveva connotata per secoli, restituendola alle emozioni e allo stupore di chi la osserva, e sfuggendo al consumo distratto ed epidermico che sempre più la accomuna al mero complemento d’arredo. Così come il libro vuol essere aperto, sfogliato, letto, compreso.. così anche un’opera di pittura (o di poesia visiva), che quindi rifugge dal prestarsi a un utilizzo solo oggettuale e a un apprezzamento solo estetico (di superficie). Il collage tra immagine e parola – oggi appannaggio della pubblicità e del fumetto – trova nell’arte un territorio sterminato, ancora tutto da esplorare e da coltivare: i termini della comunicazione seguono leggi differenti, non indugiano nel cosiddetto messaggio subliminale o nell’allusione diretta, anzi scavalcano tutti i codici prevedibili, a un tempo negando e affermando. Questo perché della parola e dell’immagine, come ci testimoniano tutte le opere di Baistrocchi, l’arte ha il privilegio di mettere in evidenza quel significante, quel nucleo semantico che continuamente le origina e le cristallizza. Un’arte del dialogo, dunque, che parla il linguaggio stratificato e polisenso della contemporaneità, ma che non rinuncia al soliloquio del significato riposto, del rebus, della voce individuale.